European Teachers

Valutazione!, Scambiamo esperienze ed opinioni sulla valutazione degli insegnanti nei contesti in cui lavoriamo.

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Marco Martinelli
view post Posted on 27/5/2015, 17:33




Il disegno di legge detto “La Buona Scuola” ha riportato prepotentemente alla ribalta la discussione sulla valutazione degli insegnanti. Il DDL medesimo, a detta del governo, dovrebbe introdurre la valutazione e il merito nella scuola italiana e questo aspetto, fra gli altri, ha sollevato uno tsunami di polemiche, alcune sul concetto stesso di valutazione (attentato alla libertà di insegnamento?), altre sul modo in cui dovrebbe essere fatta e su chi la dovrebbe fare. Spesso, a proposito o a sproposito, si tirano in ballo i sistemi scolastici esteri, e la loro presunta superiorità, per sostenere le posizioni più varie sull’argomento. Qui vorrei parlare del sistema di valutazione nel Regno Unito, di cui ho esperienza diretta per aver lavorato lì quasi otto anni, aggiungendo qualche commento personale.

Comincio con lo sfatare un mito che ho letto da varie parti secondo cui l’ispettorato inglese (l’Ofsted) valuterebbe il singolo insegnante in maniera oggettiva e imparziale – diversamente, s’intende, dal preside. Questo non è vero: il compito di Ofsted in Regno Unito è di valutare le scuole, non gli insegnanti. Quando Ofsted ispeziona una scuola, pubblica un rapporto che comprende osservazioni, un giudizio e delle raccomandazioni sull’intera scuola o su singole aree, mai sull’insegnante. L’influenza di Ofsted sulla valutazione degli insegnanti è, caso mai, indiretta: i criteri che saranno adottati nell’ispezione vengono tradotti in criteri per valutare l’insegnante. Tuttavia, l’insegnante è valutato dalla scuola, di solito dai responsabili della sua area di insegnamento (department). Il preside e i suoi collaboratori hanno un ruolo di supervisione in questo, ma non svolgono in prima persona la valutazione per tutti.

La valutazione si fa principalmente in tre modi: osservazione diretta in classe, analisi dei risultati e valutazione degli standard professionali.

Primo: osservare l’insegnante in classe. Questo lo fa un collega con responsabilità di dipartimento o di scuola che entra in classe, prende appunti su ciò che vede e fornisce feedback successivamente, in un incontro privato. Normalmente c’è un preavviso, così l’insegnante ha modo di prepararsi. Fino all’anno passato la lezione osservata riceveva un “voto” (outstanding, good, satisfactory o inadequate), ma adesso, seguendo le linee dell’ispettorato, la mia scuola e molte altre hanno superato questo e si riceve semplicemente una lista di punti di forza e di aree per il miglioramento. Essere osservati è parte dell’esperienza comune di un insegnante, non una punizione o un controllo in senso negativo. Avviene di norma due o tre volte durante l’anno, ma non c’è un limite legale al numero di osservazioni. In molte scuole, si incoraggiano osservazioni informali non valutate fra colleghi per riflettere insieme sulla propria pratica in classe.

Una lezione osservata e valutata può, obbiettivamente, essere snervante. Tuttavia, essere osservato e osservare altri è una delle esperienze più formative che ho avuto in questo Paese. Vedere la propria lezione con altri occhi, avere l’opportunità di spiegare la logica dietro quello che si fa, discutere con un altro professionista i pro e i contro delle proprie scelte è un modo formidabile di migliorare come insegnante. Questo, chiaramente, richiede che l’osservatore ci sappia fare nell’analizzare la lezione e nel comunicare il proprio feedback. Criteri eccessivamente rigidi o osservatori superficiali possono decisamente rovinare l’esperienza. Io sono stato abbastanza fortunato con gli osservatori: sono stato spesso osservato da gente che stimavo e ho imparato molto dalla discussione che seguiva. Conosco altri che non sono stati altrettanto fortunati e, io stesso, ho avuto qualche discussione spiacevole con colleghi che non avevano l’elasticità mentale per svolgere questo compito.

Secondo: valutare l’insegnante dai risultati che i suoi ragazzi conseguono. Questo, logicamente, si può fare in UK perché c’è una valutazione standardizzata, con tutti i pro e i contro di un simile approccio. Gli esami legali sono test scritti che vengono anonimizzati e corretti altrove. Anche a livello di scuola, durante l’anno, i ragazzi sostengono test interni che simulano lo stile degli esami esterni, tutti gli insegnanti dello stesso dipartimento (quindi della stessa materia) somministrano lo stesso test alle loro classi e i risultati vengono utilizzati per monitorare i progressi della classe, dell’alunno, dell’intera scuola. Bisogna precisare che, se questi risultati vengono utilizzati per valutare un insegnante o una scuola, si terrà conto della situazione di partenza dei ragazzi.

Personalmente, l’esperienza di analizzare i risultati dei miei ragazzi, di usarli per programmare la didattica successiva e di discuterli con altri è stata preziosa. Prima di approdare in UK avevo un’esperienza molto ridotta della valutazione e mi sentivo abbastanza insicuro in questo aspetto del lavoro. In UK ho imparato ad usare i “dati” per riflettere sull’efficacia della mia pratica in classe, ho capito la logica che sta dietro ai test “oggettivi” e questo sicuramente mi aiuterà nel resto della mia carriera – e aiuterà i ragazzi a cui insegno. Però, però, però… sì, ci sono una serie di “però” abbastanza pesanti. Il sistema inglese, dal mio punto di vista, è ossessionato dai risultati “oggettivi” e questo falsa la prospettiva e mette a rischio la nostra etica professionale. Scuole e singoli insegnanti rischiano di compiere scelte che non sono nel migliore interesse dei ragazzi soltanto per proteggere “i risultati”. Per di più, quest’idea che l’insegnante è il principale responsabile dei risultati toglie responsabilità agli studenti, fornisce loro alibi per impegnarsi poco. Infine, la pressione abnorme sui risultati innesca una serie di pratiche burocratiche volte soltanto a pararsi le spalle, giustificare, dimostrare che si sta facendo il proprio lavoro. Si riempiono pile di fogli per dimostrare che si sta analizzando i risultati – improvvisandosi statistici o avvocati di se medesimi. Si versano fiumi di inchiostro sul lavoro dei ragazzi per dimostrare che gli abbiamo dato abbondante feedback, anche se sappiamo che loro non lo leggeranno nemmeno. Si redigono dettagliati piani d’azione semplicemente per dimostrare a qualcuno che stiamo facendo tutto quello che ci si aspetta. Infine, completamente esausti da tutto ciò, si deve anche, concretamente, pianificare e insegnare le nostre lezioni! Insomma, io non sono pregiudizialmente contrario all’uso dei risultati per valutare il lavoro di insegnanti e scuole, ma essi devono essere temperati con altre considerazioni ed evidenze, altrimenti la scuola diventa semplicemente una fabbrica di risultati, che “macina” senza preoccuparsi del come o del perché, trattando gli studenti come macchinette che, se si manovrano i “bottoni” giusti, produrranno i voti che devono produrre. Sono pronto a valutare i miei studenti con tutta l’accuratezza possibile, e a riflettere sui risultati che ottengono, ma non ad essere crocifisso a questi risultati, come se ne fossi l’unico responsabile – specialmente in un contesto sociale dove ci sono tantissimi altri fattori che possono influenzare i ragazzi e i loro risultati.

Il terzo modo di valutare l’insegnante è la valutazione complessiva della sua pratica confrontata con i Teaching Standard: una lista di atteggiamenti, abilità e azioni che il sistema di istruzione si aspetta dall’insegnante, lista che è pubblica e accessibile a tutti. Questa valutazione formale(di solito chiamata appraisal o appraisal review) avviene una volta all’anno in un colloquio (o più spesso una serie di colloqui) con un collega che abbia responsabilità sulla tua area e che possa agire come tuo “line manager”. Il collega è spesso qualcuno che lavora con te e che conosce i tuoi punti di forza o di debolezza. Tu puoi comunque portare le tue “prove”: lavoro dei ragazzi da te corretto, risultati che hanno ottenuto, feedback di lezioni in cui sei stato osservato, comunicazioni mail che hai avuto con altri colleghi etc. etc. Alla fine del processo, concordi con il tuo appraiser tre obiettivi professionali che l’anno successivo dovrai dimostrare di aver raggiunto. I Teaching Standard che fanno da filo conduttore a questa discussione coprono tutte le aree considerate importanti: gli atteggiamenti personali, la capacità di relazione con studenti, colleghi e genitori, la conoscenza della materia, la qualità delle lezioni pianificate, il feedback dato agli studenti, la capacità di creare un ambiente che aiuti l’apprendimento e di mantenere il rispetto delle regole necessarie. L’attuale governo inglese ha legato a questo processo gli avanzamenti di stipendio, che qui sono abbastanza consistenti: se non superi con successo la tua appraisal, resti nella banda di stipendio dell’anno precedente.

Cosa ne penso io? Il mio processo di appraisal è stato sempre positivo e significativo. Il fatto che avvenisse con qualcuno che conoscevo e stimavo mi ha aiutato ad affrontare eventuali limiti o critiche per il verso giusto. Di solito, mi si è permesso di scegliere obiettivi professionali che ritenevo utili e che avevano attinenza con i miei interessi e ambizioni. È stato utile fare il punto della situazione con qualcuno su dove sono come insegnante e dove voglio andare. Il punto su cui sono più dubbioso è l’aspetto monetario. Non sono pregiudizialmente contrario al fatto che, se voglio avanzare di stipendio, qualcuno debba riconoscere che la mia pratica è stata buona. Però penso che questo meccanismo sia pericolosamente dipendente dalla quantità di fondi erogati alle scuole. In un’era di tagli, le scuole e i governi potrebbero usare questo processo per risparmiare soldi, decidendo a priori che solo alcuni avranno l’aumento: questo per me sarebbe ingiusto e sbagliato.

Cosa mi ha insegnato la mia esperienza, in termini di valutazione insegnanti? Almeno un paio di cose.

La prima è che, per quanto nessuna valutazione sia perfetta, essere valutati è meglio che non esserlo. La valutazione mi ha permesso di capire i miei punti di forza e di giocarmeli al meglio. Mi ha aiutato a progettare la mia crescita professionale e a riflettere su dove volevo andare con la mia carriera. Mi ha anche aiutato ad apprezzare i punti di forza dei miei colleghi e ad intrecciare relazioni di mutuo sostegno con loro. Al di là della mia esperienza soggettiva, ho lavorato in ambienti in cui le persone si sforzavano di migliorare e di condividere i propri punti di forza. Questo dà più significato e profondità al nostro percorso professionale e si traduce in un’esperienza migliore per i ragazzi.

La seconda è che, per avere questo tipo di impatto positivo, ci sono delle condizioni. Non è pensabile che un’agenzia esterna mi giudichi “sulla carta”: questo lavoro è troppo complicato perché ciò funzioni. Chiaramente questo espone a rischi di abuso, e bisogna chiedersi in che modo prevenirli. Tuttavia, tutte le volte che sono stato valutato (confidenzialmente) da ispettori “esterni” o “imparziali”, ho sempre sperimentato il loro giudizio come superficiale e, anche se positivo per me, meno accurato del giudizio di colleghi con cui lavoro .

La valutazione può avvenire bene e fare bene alla scuola se c’è una cultura professionale che è difficile da imporre per legge. Serve la disponibilità ad essere valutati, ma anche dall’altra parte la capacità di ascoltare, di assumere la buona fede del collega e di cogliere la complessità delle situazioni. Serve il giusto equilibrio fra criteri “oggettivi” e rispetto della soggettività e della particolarità. Serve apprezzare la differenza fra una scuola e un’azienda, non perché l’azienda sia una cosa brutta, ma perché lavorare con esseri umani che crescono e imparano non è come inscatolare pelati o programmare computer o vendere telefonini. Dobbiamo cercare di identificare aspetti osservabili che ci permettano di capire se stiamo lavorando bene, farlo non solo per valutare altri ma soprattutto per valutare noi stessi: non c’è valutazione efficace che non sia preceduta o seguita dalla riflessione personale. Allo stesso tempo, dobbiamo riconoscere il limite e l’approssimazione di questi aspetti osservabili. Solo così, sapendo fino a che punto fidarcene, cosa ci possono dire e cosa non ci possono dire, potremo utilizzarli in maniera veramente efficace per sostenere la crescita professionale dell’insegnante e migliorare l’esperienza e l’apprendimento dei suoi studenti.

Edited by Marco Martinelli - 28/5/2015, 10:13
 
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